mercoledì 16 dicembre 2009

quale valore per il lavoro professionale?


Quand’ero piccola stavo spesso con una mia zia che faceva, in casa, le tomaie delle scarpe; io l’aiutavo a piegare e martellare, divertendomi tantissimo nel vederla sfrecciare con la sua macchina professionale e fare cuciture impossibili.

Mi ricordo soprattutto l’odore del mastice, della pelle morbida e del caffé nelle pause per far riposare le spalle contratte.
Oggi mi rendo conto che dopo una laurea e mezzo, master, corsi di formazione, esperienza pluriennale, anch’io, come mia zia sono a rischio, di lavorare A COTTIMO!
Rimane l’odore del caffé che mi fa compagnia nelle pause in cui mi stacco dal computer per stiracchiarmi un po’.
Corsi e ricorsi del lavoro, è cambiato il profumo ma anche la flessibilità, oggi minore meno “a misura di donna”, mentre costanti rimangono i rischi di sfruttamento e svalutazione del lavoro.

Questo mi è venuto in mente leggendo uno scritto di Dario Banfi pubblicato sul sito di ACTA
(http://www.actainrete.org/index.php?option=com_docman&task=doc_view&gid=135&tmpl=component&format=raw&Itemid=24)
in cui in maniera chiara e propositiva espone alcuni elementi chiave del “dare valore” al lavoro professionale.

Chiunque lavori in ambito consulenziale sa quanto sia difficile quantificare, a priori, il valore di un intervento in un mercato in cui il “dumping sociale” è forte.
Il “dumping ” è la tendenza a deprezzare il proprio lavoro pur di vendere, il 3x2 della consulenza, la logica del “riempire le giornate”, a volte anche a gratis.
Questi comportamenti, comprensibili in un mercato che per primo ammortizza le varianze commerciali, non lo sono però se ne analizziamo le conseguenze.
Ridurre i prezzi significa riaffermare una logica valutativa e una cultura errata.
Così è importante saper valorizzare il proprio lavoro tenendo ben presenti due componenti:
  • da un lato i costi indiretti o generali sostenuti dal professionista come ogni altra azienda, basandosi su una quantificazione esatta del tempo dedicato a: formazione/aggiornamento, marketing, amministrazione e aggiungere ammortamenti…
  • dall’altro saper valorizzare il proprio lavoro con la clientela su basi nuove collegate alla individuazione di indicatori di impatto dei progetti (aumento clientela…) sulle performance aziendali

Spesso, come sottolinea Banfi, vendiamo “attese”, un prodotto immateriale, poco o per nulla visibile, i cui effetti sono di solito dilazionati nel tempo, basti pensare agli effetti dei programmi formativi di sviluppo personale.

Per non lavorare a cottimo, riempiendo le giornate a prezzi “inconsapevoli” o “ disperati” è importante sviluppare motivazione, cultura e competenze per costruire logiche di valutazione consensuale (con i clienti).
Questo implica in primis un approfondimento su di sé sui propri bilanci e budget di tempo e denaro.

Ringrazio di cuore il Dottor Banfi e ACTA per il contributo di questo intervento che rappresenta quasi un manuale di “BUON LAVORO”.

Invito altresì a visitare il sito di ACTA Associazione Consulenti Terziario Avanzato (www.actainrete.org) e iscriversi (è gratuito) all’associazione per tutelare insieme i nostri diritti.

3 commenti:

  1. Vorrei aggiungere una riflessione, più che un commento a questo post.

    Il tema della definizione equa del valore del lavoro è fondamentale per quanto riguarda i professionisti e, rispetto a ciò, non mi pare vi sia nulla da aggiungere alla condivisione dei contenuti del post.

    Vorrei proporre invece una riflessione sul fatto che vi è un problema analogo (anche se per fortuna meno drammatico) per quanto riguarda il lavoro dipendente. Com'è noto le retribuzioni (per la maggioranza del lavoratori) vengono definite nell'ambito contrattuale nazionale ed in quello integrativo. Vi sono poi le cosiddette promozioni che definiscono i ruoli direttivi piuttosto che subordinati nell'ambito delle organizzazioni.

    In particolare nelle grandi aziende i diversi aspetti si intrecciano a dinamiche che spesso non soddisfano l'idea che vada valorizzata la professionalità ma, piuttosto, la fedeltà a questo o a quel dirigente. Non voglio qui scoprire l'acqua calda, come legittimamente qualcuno potrebbe pensare, ma proporre uno spunto di riflessione ulteriore per capire se le aziende sono attrezzate o meno di seri sistemi di valutazione delle professionalità presenti al proprio interno.

    E' facile ritenere che laddove nelle aziende è diretto ed immediato il rapporto fra una proprietà chiara ed il corpo dipendente, vi sia un interesse concreto a premiare dando maggiori responsabilità, coloro che contribuiscono maggiormente alla crescita aziendale. Tuttavia non è automatico che ciò avvenga perché, ad esempio, nelle imprese familiari talvolta vi sono dinamiche che premiano il legame parentale piuttosto che la competenza. E' però ancora meno facile che avvenga laddove il potere gestionale non è in mano alla proprietà ma al management.

    Penso che proprio queste società abbiano una maggiore necessità di dotarsi di sistemi di valutazione ed organizzativi in grado di evitare che modalità di valutazione inadeguate incidano negativamente sulla redditività delle aziende stesse oltre che, ovviamente, sul senso di benessere e di soddisfazione per i propri dipendenti.

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  2. Un aspetto che volevo mettere in evidenza, rispetto al tema "valore per il lavoro professionale", è quello dei tempi lunghi dei pagamenti. Il nostro Paese, sentivo un reportage in televisione, è agli ultimi posti in Europa e nel mondo, per quanto riguarda il rispetto dei termini contrattuali sia per quanto riguarda gli obblighi che per quanto riguarda le scadenze. Ciò riguarda tanto le relazioni fra imprese private quanto quelle che coinvolgono quale obbligate, le imprese pubbliche.

    A ciò si aggiunga il farraginoso sistema giudiziario che consente di dilatare fatalmente i tempi per ottenere il rispetto delle clausole contrattuali.

    Il non rispetto dei termini contrattuali, è intuibile, incide in modo fatale sulla via delle aziende, specie quelle piccole e a maggior ragione i professionisti (spesso aziende individuali), decretandone talvolta perfino il fallimento.

    Infine, ma questo sarebbe un argomento da sviluppare a parte, vi è da ragionare sul ruolo delle associazioni professionali (riconosciute e non) rispetto alla necessità di affrontare in modo diverso la difesa del valore professionale dei propri associati.

    Cordiali saluti

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