domenica 13 agosto 2017

L'EMPATIA COSA E', COSA NON E', COME GESTIRLA O SVILUPPARLA


Si parla molto dell'empatia, "bisogna essere empatici" dice il dogma della comunicazione, ma cosa significa davvero "essere in empatia"?

COSA SIGNIFICA EMPATIA

Significa entrare nello stato emotivo dell'altro, SENTIRE CIO' CHE LUI SENTE.
Significa quindi sentire paura se l'altro ha paura, gioia se è felice, tristezza se è triste, rabbia se è arrabbiato.
E' una sorta di CONTAGIO EMOTIVO, in cui l'emozione di una persona viene trasmessa all'altra persona.

COSA NON SIGNIFICA L'EMPATIA

Come sottolinea Stephen Covey non significa essere d'accordo né con le idee, né con lo stato emotivo dell'altro. L'empatia è una consapevolezza emotiva dell'altro, ma il fatto che condividiamo uno stato non implica condividere perché quello stato esista. Se una persona è arrabbiata possiamo per esempio non essere d'accordo sul perché si sia arrabbiata ma semplicemente sentiremo la sua rabbia, senza avallarla.
Nell'empatia NON c'è giudizio, non mi interrogo se sia giusto che l'altra persona provi o non provi quella emozione, solo la sento dentro di me e la prendo come una informazione di dove l'altro è in questo momento della comunicazione
L'empatia NON è voler bene a tutti. Molti contestano questa visione buonista ma è totalmente inadeguata, comprendere (cum-prendere, prendere con sé) non significa farsi andar bene lo stato emotivo dell'altro.

TUTTI SONO EMPATICI?

Sì ma in misura diversa. Ci sono persone molto empatiche, quelle che normalmente vengono definite come SENSIBILI che sentono parecchio gli stati altrui, a volte sin troppo. Ci sono altre persone che invece fanno davvero fatica a sentire le emozioni altrui, ne sono un esempio estremo le persone affette da autismo che non riescono a prevedere o immaginare lo stato interiore dell'altro e quindi si chiudono. La psicologia evolutiva ci spiega che il bambino forma con il tempo la capacità di distinguere e comprendere gli stati emotivi altrui. La Teoria della Mente sta a indicare la capacità di immaginare e prevedere lo stato dell'altro. Questo sviluppo in alcuni soggetti può essere molto carente, sia perchè legato allo sviluppo di un tratto autistico, anche leggero, sia perché legato a dissociazioni dovute a traumi o eventi di crescita non positivi.
Mettiamo ad esempio un bambino soggetto a maltrattamento o incuria, è un bambino che non viene riconosciuto, visto, nei propri stati emotivi. Questo bambino vivrà un mancato rispecchiamento delle sue emozioni, giacché se è triste o arrabbiato nessuno se ne curerà oppure darà risposte talmente inadeguate da generare nel piccolo un senso di profonda confusione e frustrazione.
Ben capite perché molti adulti non siano in grado di relazionarsi emozionalmente, perché è mancata una prima relazione"sufficientemente buona" da generare questa capacità e a volte la fiducia nell'abbandonarsi a sentire ciò che l'altro sente. Pensiamo ad un bambino con un genitore iroso o violento, o depresso e triste, impara a proteggersi NON SENTENDO più niente, a dissociare le proprie sensazioni corporee o inibirle, di fatto CONGELANDOSI.


COME GESTIRE L'EMPATIA

A chi spesso viene da me lamentandosi di essere "troppo empatico" suggerisco che questo sia un gran bel dono ma che come tutti i doni abbia un lato ombra che va gestito, legato al "troppo".
Faccio spesso la metafora di una Ferrari che come dono è niente male ma che bisogna imparare a guidare per godere. Lo stesso per l'empatia.
Un mio professore, Paolo Cattorini in una lezione di tanto tempo fa disse:
"L'empatia è la capacità di entrare negli stati emotivi degli altri ma imparate ad uscirne!"
E questo è il problema delle persone molto empatiche, rimanere prigioniere degli stati emotivi degli altri, esserne catturati. Eppure è necessario riuscire a rimanere centrati su di sé rimanendo in grado di distinguere CIO' CHE IO PROVO da CIO' CHE L'ALTRO PROVA.
Questo per rimanere potenti nella relazione e riuscire a influenzarla rispetto ad un obiettivo strategico, senza LASCIARSI TRASPORTARE da ciò che l'altro ci proietta a livello di sentire.

Questo presuppone un lavoro personale sulla comprensione dei propri stati emotivi che rinforzi il contatto con il corpo, mediatore primario delle emozioni, affinché sia sempre possibile distinguere CIO' CHE E' MIO da CIO' CHE E' SUO, nella relazione.

Stesso ragionamento vale per le persone POCO EMPATICHE che risultano essere sconnesse dall'altro perché prima di tutto sconnesse con sé stesse, con le proprie sensazioni ed emozioni.
In un mondo che tende a parcellizzare l'uomo e farlo vivere nel predominio della mente alcuni perdono la naturale capacità di stare in contatto con sé stessi ed è quindi da lì che occorre ricominciare se si vuole migliorare l'empatia.

Nelle persone che hanno avuto un infanzia con forti carenze di rispecchiamento genitoriale (vedi sopra) occorrerà una RIPARAZIONE di quelle carenze. Spesso ciò può avvenire grazie a legami affettivi adulti particolarmente significativi che nutrono la persona di quell'attenzione che le è mancata. La terapia ed in particolare la relazione terapeutica può essere anche un valido momento in cui riparare ciò che è stato fornendo un modello e un sostegno al graduale riappropriarsi del proprio universo emotivo, che per una persona "congelata" può essere qualcosa di molto difficile se non terrorizzante!

UN CONSIGLIO PER 


Gli EMPATICI
 IMPARATE A DISTINGUERVI! E RIMANERE IN CONTATTO CON LE VOSTRE EMOZIONI!
I POCO EMPATICI

INIZIATE UN LAVORO PSICO-CORPOREO CHE VI METTA DI NUOVO IN CONTATTO CON LE VOSTRE EMOZIONI E RIAPRA IL CANALE DELL'EMPATIA!

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